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UN ACQUARIO: ULTIMO – FATEME CANTA’
UN ACQUARIO: ULTIMO – FATEME CANTA’
Se c’è un cantante che all’ultimo festival di Sanremo mi ha fatto molto riflettere è stato Ultimo. Ammetto che la sua canzone non l’avevo messa a fuoco, probabilmente per mia distrazione. E invece poco dopo il festival, a marzo, mi è capitato di ascoltarlo ad un concerto di Antonello Venditti con una canzone che mi è entrata dentro come una spada. E’ “Fateme cantà”. L’ho ascoltata e riascoltata con varie orecchie, non ultime quelle astrologiche. Anzi, invito tutti i miei colleghi di segno ad ascoltarla in questa chiave: “Fatemi fare quello che mi viene spontaneo, non mi state sempre a chiedere una cosa“. In questa luce, diventa proprio il nostro “inno”. Perché in questo pezzo ho riconosciuto tutto l’animo sofferto e perennemente inadeguato di un Acquario. Già che comincia con le parole “So’ distrutto” l’ho sentita un po’ come un inno, visto che lo dico dalle 10 alle 100 volte al giorno! Ma scherzi a parte, ho sentito il desiderio di commentarla alla luce del mio e del suo segno zodiacale.
A partire dal modo ostinatamente “anti-eroico” di vivere il suo protagonismo. Sentendosi spesso a disagio persino quando è a tutti gli effetti la reginetta della festa. Non a caso, l’Acquario è il segno opposto al Leone. E come si sa, gli opposti si confrontano su uno stesso tema, al quale forniscono risposte antitetiche. E se il Leone salta sul palcoscenico della vita con un sorriso a 64 denti, l’Acquario vive il suo protagonismo al contrario, per sottrazione. Ama che si parli di lui, ma non ama esser messo alle corde con un riflettore puntato in faccia. Persino quando è lui ad essere il protagonista di una determinata situazione, non riesce mai a lasciarsi alle spalle un senso di soggezione e di inadeguatezza che se da un lato lo rende genuino, verace, dall’altro lo tiene perennemente sulle spine.
Mi ha colpito perché ha quella che io chiamo la “sindrome di Benjamin Button” dell’Acquario, che da piccolo è un adulto in miniatura e che poi, pian piano, ringiovanisce crescendo. L’anno scorso un giornalista si chiese come facesse un artista così giovane ad avere testi così cupi e tormentati. Evidentemente non aveva mai osservato un Acquario in tenera età, quando da bambino si auto-ingabbia in un mondo impenetrabile, serioso, sentendosi addosso tutto il peso dei guai del mondo. Poi strada facendo, riesce ad elaborare le sue strategie difensive e relazionali e trova il modo di aprirsi un po’. Ma quel velo di inquietudine non se lo scrolla mai del tutto di dosso perché è un’antenna che capta ciò che gli altri non vedono o sentono ancora.
Mi ha colpito lo spirito malinconico dell’Acquario che, a qualsiasi età, guarda al passato con sguardo perennemente nostalgico. Anche al passato più recente o apparentemente insignificante. Perché per lui ogni minuto che passa è un ricordo da conservare ed accarezzare. Mi ha colpito quell’animo scisso, metà “progressista”, che dall’oggi al domani rivoluzionerebbe il mondo, lo farebbe diventare “cubico”, o ruotare nella direzione opposta a quella di sempre. Ma che allo stesso tempo fa fatica a staccarsi dalle piccole cose, ad “archiviare” ciò che è passato senza lasciare costantemente che il peso del suon ricordo gravi sul presente. Mi hanno colpito “i ricordi che gli spezzano il sonno” e “a letto lo fanno girà come un matto”. Perché sin da bambino l’Acquario è una creatura della notte, la notte è il suo “parco giochi”, magari anche solo per leggere un libro che non riesce a mettere giù, o per vedere una stagione intera della sua serie TV preferita. Ma a volte, quando si “sforza” di andare a dormire, di notte gli sembra popolata di mostri ed inquietudini.
Devo ammettere che dopo l’esito del festival, le sue dichiarazione mi hanno un po’ irritato. E diciamoci pure, ha trovato il modo migliore per rendersi antipatico. Ma adesso che mi sono fermato un attimo a riflettere ho pensato: quante volte, ferito, ho espresso male la mia delusione? Quante volte non sono riuscito ad esprimere bene un malcontento e sono risultato provocatorio, aggressivo, mentre quella che avevo dentro era una sofferenza. No, era di più: era proprio la dimostrazione di quel “teorema dell’insicurezza” che cerchi costantemente di “(s)confermare”. E allora ho deciso di assolvere pienamente anche dalle sue uscite infelici post Sanremo, perché ho compreso che per quanto disagio possano aver creato agli altri, erano espressione di un disagio ancor più profondo che aveva dentro.
E penso che ciò che l’ha penalizzato di più a Sanremo sia stata proprio la scelta del brano. Secondo me, caro Ultimo, se tu avessi portato al festival una canzone come “Fateme canta’”, sporca, dialettale ma anche così vera, sentita e sincera, saresti arrivato Primo. Ma tu sei giovanissimo. So che un Acquario si sente sempre più vecchio di quanto fosse il giorno precedente, mai più giovane di quanto sarà il giorno seguente, ma tu hai tutto il tempo per rendere Primi gli Ultimi. La prossima volta, segui il tuo, di istinto. Perché nessuno sa meglio di te ciò che è meglio per te.
E prima di condividere il testo della canzone, condivido quest’ultima riflessione con tutti i miei colleghi di segno. Sempre tutti a dirci cosa è meglio per noi, a cercare di imbrigliare la nostra creatività in un binario prestabilito… ma nella nostra contraddittoria visionarietà, lo sappiamo noi cosa è meglio per noi. Proviamo a crederci un po’ di più, e a riprendere in mano le nostre redini. Detto così, sembra un prequel del nostro 2020, un anno che ci spinge a dire di no a tutto ciò che non ci convince fino in fondo. E così facendo, ci aiuta ad eliminare tutto il superfluo e a tornare ad un’identità più libera e spontanea!
Ecco il testo!
Che giornata, che giornata
So distrutto, eh, so distrutto
Cameriè portame er vino
Fateme cantà
Che non c’ho voglia de sta con sta gente
Che me parla
Ma non dice niente, eh
Fateme cantà
Che me ne sento anche un po’ innervosito
Da sta gente che me chiede na foto
Io vorrei parlaje de loro, oh oh oh
Fateme cantà
Sto a impazzì appresso a troppe esigenze
C’ho bisogno all’appello
De dì che so assente
E, e fateme cantà
Pe l’amici che ho lasciato ar parcheggio
Io che quasi me ce sento in colpa
De ave’ avuto sto sporco successo
Che amico sul palco e t’ammazza nel resto, oh oh
Fateme cantà
Nun so bono a inventamme i discorsi
Sbaglio i modi
I toni, anche i tempi
Parlo piano manco me sentiresti, eh
Fateme cantà
Che a ste cene co questi in cravatta
Parlo a gesti, nun so la loro lingua, eh
Eh, fateme cantà
Per quel tizio che non c’ha più er nome
Sta per strada, elemosina un core
Pe’ quel padre che se strigne l’occhi
Davanti a suo figlio pe’ proteggeje i sogni, oh
Fateme cantà
Pe’ sti gatti che aspettano svegli
Un motore pe’ starsene caldi
Pe’ i ricordi che me spezzano er sonno
E a letto me fanno girà come un matto
Un matto, un matto